La pagina evangelica di questa domenica ci consegna il racconto della chiamata dei primi discepoli di Gesù, tra cui Simon Pietro. Dopo che nella sinagoga di Nazaret Gesù ha manifestato il suo programma, la sua missione, ora sceglie coloro che lo seguiranno nel cammino di annuncio del Regno. La chiamata dei primi discepoli avviene in un “contesto” particolare.
Anzitutto, la chiamata parte dalla richiesta di una piccola disponibilità: Gesù chiede la barca di Simone per insegnare alle folle. Chiede poca cosa per conquistare in realtà il cuore dei discepoli, fino ad osare di chiedere loro di diventare “pescatori di uomini”. È come se il Signore desidera che noi maturiamo un po’ per volta. Dapprima ci chiede di mettere a disposizione qualcosa, un po’ di tempo, un po’ di energie, un po’ di quel che riteniamo nostro, ma poi ci chiede un salto di qualità: ci chiede di mettere a disposizione la vita. In fondo come succede in tutte le scelte importanti della nostra vita: si parte sempre da poco per essere pronti a donare tutto, a fare sul serio in maniera radicale.
La chiamata, poi, si incunea nella quotidianità di quei pescatori, anzi di più si incunea non in un momento positivo fatto di soddisfazioni, ma proprio mentre sono – verosimilmente – alle prese con un fallimento importante: quegli uomini – ci riferisce Pietro – avevano faticato tutta la notte e non avevano preso nulla. Se in un momento di successo uno è disposto a dare credito a qualcuno che chiede qualcosa, non sempre in un momento triste o buio si è disposti ad accogliere inviti addirittura fuori luogo come quello che Gesù fa subito dopo avere insegnato dalla barca: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”. Il Signore non si accosta a noi solo quando siamo forti, capaci, sicuri, vitali, ma ci chiama anche mentre sperimentiamo fallimenti, tristezze, fragilità, anche e forse soprattutto in questi menti momenti egli ci chiede il coraggio di osare una fiducia e un’obbedienza alla Sua Parola, come in effetti fa Simone: “Sulla tua Parola getterò le reti”. L’uomo che ha accolto l’invito a mettere a disposizione qualcosa o tutto di sé per il Signore non può farlo confidando in se stesso, nelle sue capacità, nella sua inventiva, nella sua forza, ma lo fa confidando nella Sua Parola, che non è lettera morta, ma parola viva, capace di fecondare il deserto, capace di “suscitare da[lle] pietre figli ad Abramo” (cfr. Lc 3,8).
La chiamata, infine, mette in risalto tutta la distanza tra Dio e l’uomo. Chi confida nella Sua Parola vede poi cosa Dio può realizzare e si accorge del divario incolmabile che mostra tutta la nostra indegnità e la nostra inadeguatezza. È quello che sperimenta Pietro, ma anche Paolo e il profeta Isaia: “Allontanati da me perchè sono un peccatore”. Ma il “totalmente altro”, l’Altissimo, il Puro si fa prossimo a noi, Colui che è profondamente distante da noi, si fa nostro compagno, nostro scudo, nostra fortezza, nostra salvezza.