Siamo nell’ultima domenica dell’anno liturgico e sapientemente la Chiesa ci pone dinanzi il Cristo, re dell’universo, con l’intento di sottolineare che tutto il nostro cammino confluisce in lui, anzi tutto è ricapitolato in Cristo (cfr. Ef 1,10). Sant’Ireneo a?ermava: “Egli (Gesù), da re eterno, tutto ricapitola in sé“. Ora, però, paradossalmente la liturgia di questo terzo anno liturgico (anno C) ci mostra la regalità di Cristo non già nel momento della sua esaltazione con la risurrezione e ascensione al cielo, ma nel momento del suo massimo abbassamento, della sua massima umiliazione, sul legno della croce. È sulla croce che paradossalmente Cristo ha ricapitolato tutto in sé e ha esercitato massimamente la sua regalità, che evidentemente è radicalmente di?erente da quella umana o da quella che gli uomini, anche i credenti, si aspettavano e si aspettano.
Ripercorrendo il testo evangelico, un primo tratto caratterizzante della regalità di Cristo emerge con chiarezza. Per ben tre volte, da persone diverse, viene a lui ripetuto, anche con tono canzonatorio: “Salva te stesso“. Fino all’ultimo Gesù deve scegliere quale volto di Dio incarnare per essere fedele al vero volto di Dio: quello di un messia di potere secondo le attese degli uomini o quello di un re che sta in mezzo ai suoi come colui che serve; quello di un messia dei miracoli e dell’onnipotenza o quello della tenerezza mite e indomita.
Egli sceglie di morire come è vissuto: non salvando se stesso, ma o?rendo se stesso per salvare gli altri. Gesù è re in questa prospettiva! Esercita la sua regalità perdendo la sua vita per amore.
Un secondo tratto della regalità di Cristo si registra nelle parole del malfattore, che si muove a compassione di Gesù. Egli dice all’altro malfattore che quell’uomo Gesù che sta dileggiando è condannato “alla stessa pena“. Una grande definizione di Dio: Dio è dentro il nostro patire, Dio è crocifisso in tutti gli infiniti crocifissi della storia, Dio naviga nel fiume di lacrime dell’umanità, Dio entra nella morte perché là entra ogni suo figlio. Dio mostra in Gesù la sua regalità dichiarando che il primo dovere di chi ama è quello di essere insieme con l’amato.
L’ultimo tratto che la pagina evangelica ci fa contemplare della regalità di Cristo è ancora una volta espresso dal malfattore compassionevole: “Egli non ha fatto nulla di male“. Gesù è un re che non fa niente di male, per nessuno, mai, perché egli fa solo il bene, esclusivamente il bene. E Gesù lo conferma fino alla fine: perdona i suoi crocifissori, comprende i suoi discepoli fuggiaschi, si preoccupa non di sè, ma di chi muore accanto e che prima era preoccupato di lui, instaurando, tra i patiboli, sull’orlo della morte, un momento sublime di comunione.
Il malfattore “misericordioso“ intuisce il vero volto di quel crocifisso e si aggrappa alla sua misericordia: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno“. Gesù non solo se lo ricorderà, ma se lo porterà sulle sue spalle, come fa il pastore con la pecora perduta e ritrovata: “Oggi con me sarai in paradiso“. E se il primo che entra in paradiso è quest’uomo dalla vita sbagliata, che però se aggrapparsi al crocifisso-amore, allora le porte del cielo resteranno sempre spalancate per tutti quelli che riconoscono Gesù come loro compagno d’amore e di pena, qualunque sia il loro passato. Questa è la bella notizia di Gesù, il Cristo re dell’universo.