La parabola di questa domenica ci inchiodare , mettendo a nudo tanti atteggiamenti che non ci permettono di vivere fino in fondo la nostra umanità.
Il primo atteggiamento, che emerge dalla figura del fariseo, è quello che potremmo definire “la sindrome dello specchio”. Crede di pregare quel fariseo, ma in realtà sta soltanto pavoneggiandosi, sta esaltando se stesso, sta pensando di essere il migliore sulla faccia della terra.
Ricorda in qualche modo la matrigna di Biancaneve, che si chiedeva chi fosse la più bella del reame e che si sentiva ripetere dallo specchio che lei solo era la più bella. Noi siamo belli, noi siamo preziosi, noi siamo delle meraviglie uniche ed irripetibili, ma non siamo i soli: mentre ripeto a me stesso di essere unico e prezioso, mi accorgo che anche gli altri, tra le fragilità che condividono con me, hanno pure loro tanti tratti belli e preziosi.
Il secondo atteggiamento negativo che salta agli occhi è quello della “slogatura dell’anima“ di questo fariseo. Egli, infatti, prega, ma al tempo stesso disprezza. Non si può pregare Dio e disprezzare il fratello: è una vera e propria “distorsione”, contraddizione, paralisi dell’anima.
La preghiera è vera quando ci rende misericordiosi, generosi, pronti al perdono, quando scompaiono da noi “ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità“ (Ef 4,31).
Il terzo atteggiamento del fariseo è quello della sindrome “del digiuno”: dice il Vangelo che digiunava “due volte alla settimana”, oltre a pagare le decime di tutto quello che possedeva. Ci sono delle spiritualità che ti fanno sentire “santo“ perché adempi dei riti, ma poi sei “vuoto“ nel cuore, arido, senza calore. La spiritualità evangelica non bada ai fronzoli, all’esteriorità, alle regole da osservare, ma si traduce in un’esperienza profondamente umana e “laica”.
Accanto a questi atteggiamenti negativi spicca però quello positivo, che, come quando sorge il sole, fa sparire tutte le oscurità. È l’atteggiamento del pubblicano, che era e sapeva di essere un peccatore: egli, “fermatosi a distanza, non osava alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto”.
Perché si batteva il petto, cosa che anche noi ripetiamo all’inizio della messa? Sant’Agostino diceva che si batteva il petto perché sapeva di avere un cuore di pietra e con quel gesto voleva che si sbriciolasse il cuore di pietra, affinché Dio potesse donargli un cuore nuovo, un cuore santo.
Anche noi, quando chiediamo perdono confessando i nostri peccati, facciamo “sbriciolare” il cuore di pietra per accogliere il cuore nuovo, capace di amare tutti, di vedere il bisogno dell’altro di soccorrerlo, un cuore “da Dio“.