Siamo nella VII domenica di Pasqua e celebriamo la solennità dell’Assunzione di Gesù al cielo. Questo evento altro non è che lo stesso ed identico mistero della risurrezione di Cristo. Annunciamo oggi non solo che Gesù vive, ma anche che regna alla destra del Padre. La pagina evangelica, che è stata proclamata e accolta quale Parola del Signore, è la parte finale del Vangelo secondo Luca, dove è narrata l’ascensione di Gesù. Tre passaggi vorrei sottolineare.
Anzitutto, Gesù a quei discepoli timorosi e consapevoli del loro fallimento chiede di essere suoi testimoni, e più precisamente testimoni della conversione e del perdono dei peccati. Chi meglio di quanti hanno sperimentato nella propria vita il perdono e la conversione può diventare credibile annunciatore e testimone? La chiesa di tutti i tempi non è una “societas perfecta”, fatta di inappuntabili cristiani, ma è una comunità di peccatori perdonati, chiamati a loro volta ad essere annunciatori e testimoni del perdono davanti “a tutti i popoli”.
Questa dimensione del nostro essere chiesa va continuamente richiamata alla nostra mente per non sentirci mai superiori a nessuno, né perfetti, né arrivati, ma sempre uomini e donne che portano su di sé numerose ferite causate dal peccato, ma amati e rimessi in piedi. Solo chi conosce e non dimentica il suo punto di partenza potrà esercitare misericordia e clemenza verso quanti sbagliano, altrimenti si diventa freddi giudici dai giudizi severi e inappellabili.
L’altro elemento, che mi piace sottolineare, è il gesto che compie Gesù prima di ascendere: “alzate le mani, li benedisse”. Il gesto ultimo e definitivo di Dio è quello di benedire. La maledizione non appartiene a Dio. Il mondo e i discepoli lo hanno rifiutato, tradito, abbandonato e ucciso ed egli benedice. Evidentemente, allora, nessuno può invocare Dio contro qualcun altro. Dio non è a favore di alcuni contro altri. Dio non protegge me, punendo o vendicandosi con altri. Dio non fa preferenze di persone, ma benedice tutti e ciascuno, benedice te, me, ogni uomo così come siamo, nelle nostre amarezze e nelle nostre povertà, nei nostri dubbi e nelle nostre fatiche.
L’ultimo passaggio che vorrei evidenziare è quell’annotazione lucana: “mentre li benediceva, si staccò da loro”. Gesù si stacca da noi non per abbandonarci, ma per responsabilizzarci. Certo, Gesù non è andato oltre le nubi, ma oltre le forme. Rimane con noi in un modo differente rispetto al tempo in cui percorreva le vie della Galilea e della Giudea. Rimane con noi attraverso quello Spirito, che il Padre ha effuso nei nostri cuori. Tuttavia, egli si stacca da noi perché diventiamo adulti nella fede. Sia pur col sostegno dello Spirito, noi siamo chiamati ad essere quegli uomini e donne che traducono in fatti concreti, in scelte responsabili, in stili di vita differenti quel Vangelo che egli ci ha mostrato fintanto che era con noi. Riprendendo le parole di S. Francesco d’Assisi, egli si stacca da noi, perché d’ora in poi “dove è odio” noi portiamo amore, “dove è discordia,” noi portiamo il perdono, “dove è l’errore” noi portiamo la verità, “dove è la disperazione,” noi portiamo la speranza, “dove è la tristezza”, noi portiamo la gioia, “dove sono le tenebre,” noi portiamo la luce.
Ascensione del Signore – anno C
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