Dopo il racconto della condivisione dei pani, che abbiamo ascoltato domenica scorsa, a partire da questa domenica la liturgia ci fa gustare un po’ per volta il discorso di Gesù sul pane di vita, di cui oggi abbiamo ascoltato la prima parte.
Un primo elemento che emerge è il rimando all’esperienza dell’Esodo, ragion per cui nella prima lettura abbiamo ascoltato la pagina dell’Esodo in riferimento al dono della manna. Quel dono fu dato da Dio al popolo di Israele che vagava nel deserto: fu il segno della sua premura per “tutta la comunità degli Israeliti“. Fu anche però uno smacco ad un popolo incapace di attendere i tempi di Dio e pronto, invece, a mormorare “contro Mosè e contro Aronne“, responsabili di quella comunità. E la mormorazione è un virus terribile perché fa sprofondare nella cecità, nella impossibilità cioè di vedere l’opera di Dio, e di conseguenza nell’accanita difesa del passato, che viene visto come la migliore esperienza possibile. Sostenevano, infatti, gli Israeliti che stavano meglio in Egitto, cioè in schiavitù, con carne pane, piuttosto che in libertà alle prese con un “pane“ nuovo. Essere caparbiamente ancorati al passato e poco disposti ad avventurarsi per vie nuove è la piaga più terribile che può vivere anche ciascuno di noi: si falsa così la realtà e si blocca ogni cammino verso la terra promessa.
Un secondo elemento che emerge dalla pagina evangelica è la risposta di Gesù a quanti gli chiesero cosa fare per compiere le opere di Dio: egli, innanzitutto, passa dal plurale al singolare, dalle opere all’opera, indicando che non sono immediatamente importanti nella vita di fede le cose che si fanno, cioè non sono le opere che salvano e ci rendono santi. Molti, infatti, credono (anche oggi!) che la fede sia semplicemente “manovalanza“, fare delle cose e che queste valgano così tanto da poter accampare diritti su Dio e sugli altri.
Per Gesù l’unica opera è la fede in Lui. Questa salva e santifica. Soltanto la fede in Gesù come sequela del suo Vangelo è la via per la vita eterna. Le opere sono solo una conseguenza di quella. Senza la fede anche le opere della tradizione cristiana sono vuote e morte. È la fede in Gesù, come cammino che chiede continuo rinnovamento, che dona consistenza all’impegno del credente.
Un ultimo elemento è quella invocazione conclusiva della pericope evangelica: “Signore, dacci sempre questo pane”. È la preghiera del convertito, di chi riconosce che non può darsi da solo la pienezza di vita e umilmente la chiede e la invoca. È la preghiera che sgorga spontanea sulle labbra di chi rinuncia all’arroganza dei farisei, dei benpensanti, dei devoti-atei. È la preghiera della comunità che sa di non poter fare a meno del pane domenicale per vivere la testimonianza di una vita che è stata rivestita de “l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità”.